30 maggio 2024

Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo

Giovedì 30 maggio 2024, nella data “tradizionale” della Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo, il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la celebrazione dell’Eucaristia, alla quale hanno partecipato in modo particolare le comunità parrocchiali della città di Crema. La Messa è stata poi prolungata con l’Adorazione eucaristica, che si è conclusa in tarda serata con la Benedizione eucaristica. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

 

Nel testo del vangelo che è stato proclamato appena ora (cf. Mc 14,12-16.22-26), si va immediatamente dalla preparazione della cena pasquale alla sua realizzazione – una realizzazione sorprendente, perché poi l’evangelista non dice nulla della cena pasquale propriamente detta, ma riferisce solo dei gesti e delle parole di Gesù, nei quali la fede cristiana ritrova la “istituzione” dell’Eucaristia.
Rileggiamo: «I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come [Gesù] aveva detto loro e prepararono la Pasqua. E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo» (vv. 19-20).
Solo che, tra queste due parti del testo – quella che riguarda la preparazione, e quella che riguarda lo svolgimento della cena – l’evangelista racconta qualcosa d’altro: e non una cosa da poco, perché si tratta dell’annuncio del tradimento.
Vale la pena, credo, di leggere anche quei versetti che il Lezionario tralascia. I discepoli, dunque, «prepararono la Pasqua», e poi:

Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». E, mentre mangiavano, prese il pane… (Mc 14,17-22)

L’evangelista Marco non scrive a caso, e la successione dei diversi episodi, nel suo racconto, va guardata con attenzione. Tanto più che, subito dopo il racconto della cena, si legge l’annuncio della fuga dei discepoli e del rinnegamento di Pietro (cf. 14,26-31).

La Cena del Signore, l’ultima Cena, il dono dell’Eucaristia, sta proprio lì in mezzo: tra l’annuncio del tradimento, in cui Gesù dice: «Uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà…» (v. 18), e l’annuncio della fuga di tutti i discepoli, tutti senza eccezione, compreso Pietro, che dice: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!» (v. 30); e sappiamo com’è andata a finire…
Chi tradisce, chi fugge, chi abbandona e rinnega Gesù, non sono “gli altri”, non sono “quelli di fuori”, i persecutori, i nemici: sono i Dodici, sono gli amici e i commensali di Gesù, sono quelli con i quali egli ha condiviso la sua vita e che aveva chiamato perché gli fossero più vicini (cf. 3,14).
E, d’altra parte, i gesti e le parole di Gesù sono la sua risposta precisamente a questo, a ciò che accadrà, a ciò che già sta accadendo. «Uno di voi, colui che mangia con me, mi ‘consegnerà’» (questo verbo ‘consegnare’, di per sé di normale significato, ha assunto anche questo significato del ‘tradimento’); ma sono io, dice Gesù, che consegno me stesso: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Prima che voi, e chiunque altro, possiate fare di me qualsiasi cosa, c’è già il mio dono, c’è già l’intera mia vita, la mia morte… Tutto era ed è già stato ‘consegnato’ per voi, per la vostra vita e salvezza: la morte sulla croce non è ancora arrivata, ma è qui preannunciata e contenuta, è già compresa in questo gesto e in queste parole.
E tutti hanno mangiato di quel pane, tutti hanno bevuto al calice, come osserva esplicitamente l’evangelista (cf. v. 23): tutti, proprio quei ‘tutti’ che poi si scandalizzeranno di lui, e che lo abbandoneranno nel momento in cui egli sarà arrestato (cf. 14,50). Tutti romperanno l’alleanza con Gesù: ma prima di questo egli ha già reso definitiva questa alleanza (cf. v. 24), che sarà poi sigillata nel sangue sparso sulla croce.

È probabile che l’evangelista, scrivendo tutto questo, avesse in mente una situazione precisa: e cioè la situazione di comunità cristiane che erano state segnate dai tradimenti, dai rinnegamenti, da cristiani che, di fronte alla serietà della proposta del vangelo, e forse anche di fronte alla persecuzione, avevano rinnegato la fede.
Perché appunto, ripetiamolo: mentre Gesù consegna Sé stesso, e nel sacramento del pane e del vino iscrive per sempre il suo dono d’amore, i suoi – che, non dimentichiamolo, in ogni tempo della storia sono quelli che si chiamano “cristiani”, quelli che si riuniscono intorno all’altare e celebrano l’eucaristia – sono quelli che continuano a tradire, a rinnegare, a non essere all’altezza del suo dono…
Questo vuol dire che Marco intende colpevolizzare i suoi lettori, o i cristiani che, come noi questa sera, ascoltano le sue parole sull’ultima Cena di Gesù, e sono – siamo – oggi i suoi commensali, quelli che stanno a tavola con Lui?
Penso piuttosto che l’evangelista voglia anzitutto, senz’altro, metterci un po’ in guardia, e dirci: state attenti a voi stessi; non siate troppo leggeri e superficiali, nell’accostarvi alla tavola del Signore, nel partecipare alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue e, prima ancora, nel dirvi suoi discepoli, suoi ‘fratelli’ e ‘amici’.
D’altra parte, però, l’evangelista continua anche a dirci: la risposta di Gesù a ciò che noi facciamo o non facciamo, alla nostra fedeltà o infedeltà, al nostro impegno di seguirlo, come pure ai nostri tradimenti e rinnegamenti, rimane sempre quella che Egli ci ha consegnato una volta per tutte nella notte della Cena e nell’offerta di Sé sul legno della Croce: è la risposta del suo amore fedele, è la sua vita data per noi, è perdono e misericordia, è l’alleanza nuova e definitiva.
Gesù non ha da dirci, e da darci, altro che questo: e continua a darcelo, nell’Eucaristia. A noi sta riconoscere e accogliere questo dono, e permettergli di portare in noi un frutto abbondante «per la vita del mondo» (cf. Gv 6,51).