16 maggio 2024

Celebrazione in memoria del b. Alfredo Cremonesi

Giovedì 16 maggio 2024 il vescovo Daniele ha presieduto la S. Messa nella chiesa parrocchiale di Ripalta Guerina, con i sacerdoti e fedeli dell’Unità pastorale “B. Alfredo Cremonesi”, nel giorno della nascita del b. Alfredo. Riportiamo di seguito l’omelia tenuta dal vescovo.

 

C’è un giudizio severo di Gesù, nei confronti di ciò che il vangelo di Giovanni chiama “il mondo”. Nella preghiera che Gesù rivolge al Padre prima della passione e della morte – preghiera che abbiamo ascoltato nel vangelo della Messa di questi ultimi tre giorni – il punto più forte di questo giudizio si ascolta in queste parole: «Io prego per loro [cioè per i discepoli]; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi» (Gv 17,9).
Sorprende, il fatto che Gesù dichiari così esplicitamente di non pregare per “il mondo”. Nel vangelo di Giovanni, il “mondo” spesso indica l’umanità separata da Dio, in particolare quell’umanità che rifiuta Dio, perché non accoglie Gesù e, non accogliendo Lui, non accoglie neppure il Padre che lo ha mandato. Ma, appunto per questo, non ci dovremmo aspettare che Gesù preghi per il mondo e per la sua conversione?
L’ultima parte della preghiera di Gesù, che abbiamo appena ascoltato (cf. Gv 17,20-26), ci aiuta a trovare una risposta e, al tempo stesso, a raccogliere ancora una volta la testimonianza missionaria del beato Alfredo.

Gesù prega per i suoi discepoli: per quelli di allora, quelli che lo avevano seguito nei giorni della sua vita terrena. Ma non solo per loro, come abbiamo sentito proprio all’inizio del vangelo di oggi: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola» (17,20).
E questi siamo anche noi, che abbiamo creduto per via di quella catena di annuncio, di proclamazione e di testimonianza del vangelo che i discepoli di Gesù hanno incominciato allora, e che è arrivata fino a noi.
Se questa preghiera di Gesù riguarda anche noi, è perché ci sono stati testimoni e annunciatori del vangelo – come Paolo, al quale il Signore ha affidato una testimonianza che passa anche attraverso la persecuzione (cf. At 23,11: I lettura); testimoni come i tanti credenti che lungo i secoli hanno trasmesso la loro fede ad altri, spesso in modo semplice, ma profondo e convinto, come hanno fatto per noi, probabilmente, i nostri genitori, i nostri nonni, le comunità cristiane nelle quali siamo cresciuti…
E anche testimoni d’eccezione, come i missionari, come il beato Alfredo, che non solo si è sentito chiamato a partire per una terra lontana, per annunciare Gesù Cristo, ma è stato chiamato da Dio alla testimonianza suprema, al martirio…
Grazie alla parola (anche silenziosa, proclamata il più delle volte con la vita, prima che con le labbra) di tutti questi, anche noi abbiamo accolto il vangelo di Gesù: e sappiamo che la sua preghiera guardava anche a noi.

Ma non è una preghiera generica, quella di Gesù. Rileggiamo: «Prego… anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Si tratta dunque di una preghiera per l’unità, per la comunione di quanti credono in Gesù; preghiera perché sappiano – perché sappiamo e possiamo – vivere nell’amore vicendevole; in quell’amore che ha la sua radice e il suo modello nell’amore che unisce il Padre e il Figlio; e tutto questo «perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (ivi).
Eccoci tornati così al “mondo”: un mondo che Gesù non trascura per niente, perché anzi gli preme che il mondo “creda”, arrivi alla fede, perché – come si dice in tanti modi nel vangelo di Giovanni – la fede è la condizione per avere “la vita” (cf. 20,30-31), la vita piena, la vita eterna, che è pienezza di gioia, di pace, di bene, che Dio desidera per il mondo, al punto da avere donato per questo il proprio Figlio (cf. 3,16).
Il fatto è che, perché appunto il mondo “creda”, bisogna che i discepoli di Gesù vivano nell’amore fraterno.
Dice ancora Gesù, nella sua preghiera, che bisogna che «il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (17,23). Senza questa “conoscenza” di Dio e del suo amore (conoscenza che non è solo qualcosa da sapere “con la testa”, non è solo “informazione”: è esperienza profonda, personale e comunitaria), il mondo si perderebbe: ma questa conoscenza arriva al mondo solo se i discepoli di Gesù saranno «perfetti nell’unità», cioè se realizzeranno tra di loro qualcosa che corrisponde all’unità di amore che c’è tra Gesù e il Padre: «Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (v. 23).
Gesù è il perno che tiene insieme tutto: «Io in loro e tu in me», perché tutto viene da Dio, dal Padre, e arriva a noi attraverso Gesù: ma questo perché poi noi siamo «perfetti nell’unità» – e cioè, con un linguaggio meno astratto: perché noi ci vogliamo bene, perché noi sappiamo amarci come lui ci ha amato, perché «Da questo tutti sapranno» che siamo suoi discepoli: se avremo «amore gli uni per gli altri» (13,35): e da questo, e solo da questo, il mondo sarà veramente “convertito”, cioè portato a conoscere l’amore di Dio.
Allora forse capiamo meglio perché Gesù ha pregato così tanto per i suoi discepoli, e anche per noi: pregando per noi, ha pregato per il mondo, perché il fatto che noi, suoi discepoli, viviamo l’amore vicendevole, radicato nell’amore di Dio per noi, è la condizione senza la quale il mondo non arriverà a credere in Gesù Cristo e ad avere, in lui, pienezza della vita.
E allora, più che lamentarci del fatto che c’è sempre meno gente che frequenta le nostre chiese, del fatto che il mondo sembra sempre più lontano dalla fede cristiana e così via, forse dobbiamo chiederci: ma noi, la onoriamo, questa preghiera di Gesù? La prendiamo sul serio, cercando in tutti i modi le vie della carità e dell’unità? Perché, senza di questo, non c’è missione che tenga.
Mi sembra che anche l’atto conclusivo della vicenda missionaria del beato Alfredo sia da leggere in questa prospettiva. Martire per la fede, il beato Alfredo è stato anche, inseparabilmente, martire della carità: di quella carità che l’ha portato a non volersi separare dalla sua comunità, per poterla guidare e servire con amore fino alla fine, fino alla pienezza, quale che fosse il prezzo da pagare.
La sua intercessione aiuti anche noi a cercare instancabilmente questa via «migliore di tutte», che è la carità (cf. 1Cor 12,31 ss.), che è l’amore vicendevole, perché tutto il mondo creda e possa accogliere in pienezza la vita di Dio.