Si è tenuta nella chiesa parrocchiale di S. Pietro in Crema, sabato 23 settembre 2023, la prima parte della Veglia diocesana per l’inizio dell’anno pastorale 2023-24; la seconda parte si è tenuta in Cattedrale. Pubblichiamo di seguito l’omelia tenuta dal vescovo Daniele.
L’anno scorso, riprendendo il racconto dell’incontro di Gesù con Marta e Maria nel vangelo di Luca, avevo intitolato “Erano in cammino” la lettera con la quale ho voluto accompagnare l’inizio dell’anno pastorale.
Avrei potuto riprendere lo stesso titolo quest’anno – anche perché il vangelo di Luca, ma anche gli altri vangeli, ci presentano più o meno sempre Gesù in cammino con i suoi discepoli. Essere in cammino, insomma, rappresenta sempre la condizione dei cristiani; gli scritti apostolici ricordano spesso ai cristiani che essi sono «stranieri e pellegrini» (cf. 1Pt 1,17; 2,11; Eb 11,13), che non hanno quaggiù «una città stabile» (cf. Eb 13,14); negli Atti degli apostoli i cristiani sono chiamati «quelli della via» (cf. At 9,2; 19,23; 22,4.14.22)… La stessa parola “sinodo”, “sinodalità”, di cui tanto si parla in questi tempi, rimanda proprio alla “strada”, e più precisamente alla strada percorsa insieme: “sinodo” è, letteralmente, “strada fatta insieme”…
Tutto bene: e camminano insieme, di fatto, anche i due discepoli che, nel tardo pomeriggio del giorno di Pasqua, abbandonano Gerusalemme e si dirigono verso Emmaus (cf. Lc 24,13), carichi delle loro amarezze e delle loro speranze deluse…
Forse, allora, nasce in noi un sospetto, un dubbio: che non basti semplicemente camminare, e camminare insieme, per poter dire che siamo a posto. Lo dico con parole non mie, ma che mi sembrano molto calzanti:
In effetti noi cristiani siamo di nuovo per strada. Per qualche secolo ci eravamo convinti di avere fissa dimora in un mondo immutabile. Invece la storia ci ha rimessi in viaggio. In compagnia di questa umanità irrequieta che con innegabile coraggio continua a cercare se stessa… Andiamo dove vanno gli uomini. Per forza. Ma in tutto questo mobilitarsi generale il cammino dei cristiani sembra ancora una volta una fuga. Come ai tempi di Emmaus. Non ha il passo convinto di qualcuno che sa dove andare. Ha piuttosto l’agitazione di chi da un luogo vuole allontanarsi in fretta. Più che incamminarsi verso un domani, i cristiani oggi sembrano fuggire dal presente… (G. Zanchi, Rimessi in viaggio. Immagini di una Chiesa che verrà, Vita e Pensiero, Milano 2018, 9s).
Queste parole di un teologo contemporaneo meritano attenzione. E merita rispetto il sentimento di disorientamento, di affaticamento, che si avverte nelle comunità cristiane e dentro a tanti credenti. Se vogliamo che il nostro continuo, o frequente, parlare di “cammino” e “cammino insieme” – di Chiesa, di comunità, di singoli… – non diventi uno slogan un po’ stantío, una parola che si ripete per abitudine meccanica, più che per seria consapevolezza, abbiamo il dovere di dare voce anche a quei sentimenti di fatica, di stanchezza, di rinuncia, che ci portiamo dentro.
Abbiamo il dovere – e la parola di Dio ce ne dà il diritto – di lamentarci, se nel nostro cuore ci sono sentimenti di tristezza, ci sono dubbi, speranze deluse, oscurità quanto al futuro… Lo faceva il popolo di Israele, come abbiamo meditato nel salmo: in un momento di sventura i credenti dicono a Dio: perché ci hai abbandonato? Perché taci? Perché il tuo braccio potente oggi sembra inoperoso?
E osano dire, questi credenti: «Tutto questo ci è accaduto / e non ti avevamo dimenticato, / non avevamo rinnegato la tua alleanza…» (Sal 44,18); altre volte, sì, il nostro peccato, la nostra infedeltà, erano la ragione dei nostri fallimenti, ma questa volta… Questa volta, sembrano dire, la colpa è proprio tua! «Noi speravamo» (e questi sono i discepoli di Emmaus: Lc 24,21) in Gesù di Nazaret… e sempre più lo vediamo sconfitto.
Ecco, a me sembra che, per rimetterci in cammino nel nuovo anno pastorale, ci possa servire provare a immedesimarci in queste esperienze. Che non sono lontane nel tempo e nello spazio: sono le nostre, in modi diversi.
Di qui la proposta di una veglia un po’ differente dal solito: dove tra poco, per qualche momento, ciascuno sarà invitato a esplicitare le proprie personali ragioni di fatica, di lamento, di stanchezza. A chiedersi: ecco, se qui, adesso, il Signore mi domandasse (come fece con i due di Emmaus): di cosa discuti nel tuo cuore, quale tristezza ti porti dentro?, che cosa gli risponderei?
Avremo tra le mani un foglio sul quale appuntare una risposta. E poi, secondo passo: usciamo di qui, ci incamminiamo verso la Cattedrale; lo faremo a gruppi di due-tre, massimo quattro persone; lasciando anche che il “caso” ci dia qualche compagno o compagna di cammino imprevisti. E con loro, facendo la strada verso la Cattedrale, condividiamo quanto abbiamo scritto, proviamo a conversarne un poco insieme… Lasciando ronzare un po’ in noi, nei nostri cuori, anche quella parola: «Stolti e lenti di cuore a credere…» (cf. Lc 24,25).
Arrivati in Cattedrale, troveremo già esposto il Santissimo Sacramento per l’adorazione eucaristica. Siamo invitati, sempre a gruppetti, ad avvicinarci all’altare, a sostare qualche momento proprio vicini al Corpo del Signore, a fissare un po’ lo sguardo su di lui, su quel segno del Pane di vita, nel quale il Risorto si fa riconoscere (dovremo fare un po’ di rotazione: ciascun gruppetto si potrà fermare solo un minuto o due, per lasciar salire altri… poi continuiamo l’adorazione nei banchi).
Non aspettiamoci subito una risposta ai nostri lamenti, alle nostre fatiche. Piuttosto, lasciamoci rimettere per via dal Signore, ma nella direzione giusta: che non è quella della fuga, della nostalgia sterile, ma è quella di Gerusalemme, è quella della Pasqua: per scoprire che vive, e vive per sempre, Colui che ha dato la sua vita per noi: e se «egli ha dato la sua vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16), e vivere così in pienezza.
Tutto il resto viene da qui: l’impegno di quest’anno pastorale (e non solo) sarà di scoprire sempre più, in particolare, la grazia del servizio reciproco nella carità, e di riconoscere, accogliere e far crescere le diverse forme di servizio, di ministero, che fanno vivere le nostre comunità cristiane.
Ne leggerete, se vorrete, sulla lettera che vi sarà consegnata alla fine della veglia, e dunque non mi diffondo su questo. Mi sta a cuore che alla base di tutto ci sia, con la sincerità delle nostre fatiche e incertezze, la disponibilità ad ascoltare il Signore che ci parla, che ci rimprovera, anche, ma solo perché sappiamo lasciarci scaldare il cuore della sua Parola, perché lo possiamo riconoscere presente tra noi, e perché ci lasciamo mettere da Lui sulla strada giusta del nostro camminare insieme.