27 maggio 2023, Cattedrale di Crema

Veglia di Pentecoste

Il vescovo Daniele ha presieduto la veglia di Pentecoste, nella serata di sabato 27 maggio 2023, nella Cattedrale di Crema. Riportiamo di seguito l’omelia.

 

Ho pensato di riascoltare insieme le parole che papa Francesco ha indirizzato alla nostra Chiesa di Crema nel corso dell’udienza del 15 aprile scorso. Ho pensato di riascoltarle, perché soffriamo tutti di memoria breve, e rischiamo facilmente di dimenticarle presto. Ho pensato di riascoltarle perché, a partire dal ricordo del beato Alfredo Cremonesi, nel 70° della sua morte per Gesù Cristo e per amore dei suoi fratelli, il papa ha voluto ricordarci che la missione è al cuore della Chiesa ed è affidata a ogni battezzato.
La solennità della Pentecoste ce lo ripete: il dono dello Spirito, che il Signore Gesù, morto e risorto, effonde sui discepoli, è strettamente legato alla missione. La sera del giorno di Pasqua Gesù risorto appare in mezzo ai discepoli, augura loro la pace, annuncia la loro missione – che ha il suo fondamento nella missione che il Figlio stesso ha ricevuto dal Padre – ed effonde lo Spirito Santo, perché questa missione si possa compiere non a partire da risorse umane, ma esclusivamente in virtù del Soffio di Dio.
Il racconto della Pentecoste, che ascolteremo pure nella Messa di domani (cf. Gv 20,19-23), non dice cose diverse, perché l’irruzione del soffio dello Spirito trasforma gli apostoli – e tutto il gruppo dei discepoli, uomini e donne, riuniti insieme con Maria nel cenacolo – in annunciatori e testimoni del Vangelo (cf. At 2,1 ss.).
Ma vorrei fermarmi brevemente sulle parole di Gesù ai discepoli, la sera di Pasqua. Sono quattro parole: l’augurio di pace, la missione, l’effusione dello Spirito, la parola del perdono dei peccati. Credo che possiamo leggerle a coppie: la prima con l’ultima (l’augurio di pace e la parola del perdono), e le due di mezzo insieme (la missione e l’effusione dello Spirito).
La parola di pace non è solo un augurio, un auspicio: è il dono di una realtà che ormai si è fatta presente, in virtù della Pasqua del Signore. Come scrive Paolo in un altro contesto: «Giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo» (Rm 5,1). È questa la pace che Gesù annuncia a dei discepoli che avevano confermato la separazione da Dio con i loro tradimenti, rinnegamenti, le loro fughe, e che tuttora vivono nella paura e nella vergogna.
Nessun rimprovero, da parte di Gesù, nessuna recriminazione: la Pasqua è l’abbraccio di pace di Dio con l’umanità, un abbraccio di pace incondizionato, che non pretende dai discepoli che siano diventati migliori di quel che erano…
L’abbraccio di pace, pienezza di vita, è dono gratuito di Dio, in Cristo Gesù. “Pretende”, però, qualcosa che viene dopo, di conseguenza, ed è il perdono dei peccati. I discepoli di Gesù, raggiunti dalla pace che viene dal Signore, morto e risorto, devono diventare donne e uomini di perdono, di riconciliazione, di pace.
Forse è solo un aspetto del comando di Gesù, ma mi piace intendere quella parola: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,23), in questo senso: avete tra le mani la possibilità di diffondere perdono, misericordia, riconciliazione… Se voi non lo fate, viene meno qualcosa di essenziale; se non diventate voi donne e uomini della pace che viene da Dio, e per la quale ho accolto la croce, chi porterà questo perdono, chi donerà questa pace?
E si capisce meglio, allora, il senso della missione, che Gesù affida ai discepoli, accompagnandola con un’effusione dello Spirito, che rievoca il gesto creatore di Dio. Sì, ai discepoli Gesù affida una missione, che è annuncio efficace di una nuova creazione: una nuova creazione, che ha al cuore la riconciliazione e la pace che scaturiscono dalla Pasqua di Gesù.
Appartiene a questa missione togliere di mezzo i muri di divisione e discordia, che Gesù ha abbattuto con la sua Pasqua. Appartiene a questa missione promuovere la fraternità in Cristo. Appartiene a questa missione lasciar agire lo Spirito, che è capace di creare scompiglio e poi anche di realizzare l’armonia dei diversi, giocando con le differenze per creare la comunione.
Siamo chiamati a farlo anzitutto all’interno della Chiesa: e questo, del resto, il senso più profondo della sinodalità, di quel “camminare insieme” che abbiamo davanti come dono e come compito, e per la quale vogliamo anche pregare in modo particolare questa sera, mentre abbiamo cercato e ancora cercheremo di viverla nelle nostre comunità, nella varietà dei nostri movimenti, associazioni e gruppi.
Solo lo Spirito ci permetterà di vivere le nostre diverse appartenenze non come contrapposizione, ma appunto come espressione di quella varietà che è frutto dello stesso Spirito; solo lo Spirito ci permetterà di crescere nella stima vicendevole e nell’ascolto arricchente gli uni degli altri; solo lo Spirito, infine, ci permetterà di camminare uniti nell’unica missione, che consiste nel dare testimonianza a Colui che è la «nostra pace» (cf. Ef 2,14) e continua a invitare tutti sulle vie della pace e della fraternità, nella quale il Padre di tutti viene riconosciuto e amato come la fonte di ogni benedizione e pienezza di vita.