Santuario della B. Vergine della Pallavicina – Izano, 14 maggio 2020
Nel 50° anniversario dell’Ordinazione episcopale del card. Marco Cè (17 maggio 1970)
Giornata interreligiosa di preghiera e di digiuno per chiedere a Dio la fine della pandemia
La comunità dei discepoli che prega, insieme con Maria, la madre di Gesù, preparandosi all’irruzione dello Spirito della Pentecoste (cf. At 1, 12-14), è anche quest’anno un’icona quanto mai adatta a celebrare la festa della B. Vergine della Pallavicina, nel momento particolare che stiamo attraversando.
La nostra celebrazione avviene ancora a porte chiuse, nel contesto del tempo difficile che stiamo vivendo ormai da mesi a causa dell’epidemia CoViD-19, e in una giornata che ci è stato proposto di vivere all’insegna della preghiera condivisa dai credenti delle diverse religioni. In questo contesto, l’icona della comunità «perseverante e concorde nella preghiera» (cf. At 1, 14), proposta dal libro degli Atti, ci mette davanti alcuni elementi che fanno pensare, e possono sostenere e guidare la nostra fede.
C’è un primo elemento che mi fa pensare. I discepoli e le discepole di Gesù che si riuniscono «nella stanza al piano superiore» stanno vivendo un tempo «intermedio», un tempo forse di incertezza. Hanno incontrato il Signore Risorto, hanno già ricevuto da lui il compito, la missione di essergli testimoni «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (cf. 1, 8). Sì, ma come, esattamente? Gesù non ha lasciato loro un piano d’azione preciso, un programma missionario articolato. Non è più visibilmente presente, l’hanno visto salire in cielo, e forse qualcuno di loro ha ancora rivolti all’insù, se non proprio gli occhi (cf. 1, 11), almeno i pensieri, i ricordi, i desideri… Hanno ricevuto dal Signore la promessa dello Spirito, ma non sanno quando e come si manifesterà, non sanno bene quale futuro li attende.
In questo tempo di attesa e di incertezza, la comunità sta insieme in preghiera: insieme e concorde, come abbiamo sentito. Non fanno discussioni interminabili, non sviluppano analisi infinite sul passato, il presente e il futuro. Pregano: perché la preghiera è lo spazio aperto alla presenza e alla venuta di Dio, è lasciare che al posto dei nostri pensieri, delle nostre domande, delle incertezze e forse anche delle angosce che a volte ci stringono il cuore, arrivi la Sua presenza.
Mi immagino che questa preghiera concorde si sia svolta, specialmente all’inizio, con l’aiuto di salmi, inni, testi della Scrittura… Sappiamo, sempre dagli Atti degli apostoli, che così pregava la comunità cristiana (cf. 4, 23-31); ma penso che poco alla volta, mentre l’attesa si prolungava, le parole, i canti, le manifestazioni visibili della preghiera si siano diradate, lasciando sempre più spazio al silenzio vigilante, vero spazio aperto alla venuta di Dio. Mi immagino che poco alla volta tutti questi discepoli e discepole abbiano imparato a fare ciò che l’evangelista ci racconta di Maria, lei che, soprattutto nei momenti di maggior turbamento, di incertezza e di incomprensione, «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19; cf. 2, 51).
Quando, nella preghiera, le parole si diradano, i suoni tacciono, e il cuore silenziosamente si dispone all’incontro con Dio, ci si avvia su un cammino nel quale non siamo più tanto noi a decidere che cosa accade. Immergendosi sempre più nel mistero dell’incontro con Dio, avvertiamo di dover lasciar fare a Lui. La nostra strada verso Dio, a un certo punto, si interrompe: è come un sentiero che si perde nel bosco. A quel punto, però, la preghiera diventa ciò che davvero dev’essere: ossia la strada di Dio verso di noi, il nostro silenzio, potremmo anche dire il nostro «vuoto», che finalmente viene riempito da Lui.
Ed è qui, credo, che si annodano e si ritrovano tutte le diverse strade che anche nella varietà delle convinzioni religiose sono state elaborate, per favorire il cammino dell’uomo verso Dio. Tutte le nostre strade umane, a un certo punto, si interrompono, per lasciare spazio al cammino di Dio nella nostra vita.
Anche per noi, discepoli di Gesù Cristo, che da lui abbiamo imparato a rivolgerci a Dio invocandolo con il nome di «Padre» (cf. Mt 6, 9 ss. e par.), facendo nostra la stessa preghiera di Gesù, la sua invocazione dell’abbà, del «Padre suo» al quale egli si è pienamente abbandonato, anche per noi viene il momento in cui, come dice Paolo, «non sappiamo [più] come pregare in modo conveniente» (cf. Rm 8, 26). Ed è proprio in quel momento che viene lo Spirito, atteso anche dai discepoli riuniti con Maria nel cenacolo: «Lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8, 27), inesprimibili perché sono la voce stessa di Dio. Lo Spirito diventa preghiera di Dio in noi, preghiera che sgorga dal cuore non di noi, sempre impacciati e rozzi (il che, peraltro, non impedisce a Dio di ascoltarci!), ma dal cuore di Dio stesso, e grazie allo Spirito diventa anche la nostra preghiera, una preghiera finalmente sintonizzata con il cuore di Dio.
Di questa preghiera abbiamo bisogno, se nella situazione difficile che stiamo vivendo vogliamo muoverci e agire da credenti, da uomini e donne che sanno mettersi in sintonia con Dio e con il suo «disegno amoroso» in favore dell’umanità e della creazione tutta.
Forse, in queste settimane e mesi difficili che abbiamo vissuto, qualche volta almeno abbiamo «sopportato» il confinamento nelle nostre case e camere riscoprendo un po’ di più lo spazio della preghiera. Chiediamo allora la grazia di non perdere ciò che abbiamo scoperto.
Maria, donna di silenzio e di preghiera, e insieme donna di azione e di lode, ci aiuti a custodire in noi, personalmente e come comunità, l’abitudine a una preghiera che fa spazio a Dio che viene. Anche nelle nostre incertezze, lo Spirito arriverà ad aprire le porte delle nostre case e dei nostri cuori (cf. At 2, 1 ss.), e a mandarci in mezzo ai fratelli per essere testimoni del Risorto e della salvezza che in lui sono offerte all’uomo e al mondo.